di Edmondo Peralta
“Covid-19 is not a pandemic”: non una pandemia, ma una “sindemia”. Per il direttore di The Lancet la gestione dell’emergenza, basata solo su sicurezza ed epidemiologia, non raggiunge l’obbiettivo di tutelare la salute e prevenire i morti. Covid-19 non è la peste nera né una livella: è una malattia che uccide quasi sempre persone svantaggiate, perché con redditi bassi e socialmente escluse oppure perché affette da malattie croniche, dovute a fenomeni eliminabili se si rinnovassero le politiche pubbliche su ambiente, salute e istruzione. Senza riconoscere le cause e senza intervenire sulle condizioni in cui il virus diventa letale, nessuna misura sarà efficace. Nemmeno un vaccino
«All’avvicinarsi della quota di un milione di morti nel mondo, dobbiamo ammettere di aver adottato un approccio troppo limitato per gestire questa epidemia».
Esordisce così nel suo ultimo editoriale Richard Horton, direttore della celebre rivista scientifica The Lancet, tra le cinque più autorevoli al mondo. Horton in passato aveva sostenuto la necessità di un lockdown più tempestivo e localizzato (come alcuni studi riportati dal Corriere della Sera suggeriscono) in Italia e in altri Paesi come la Gran Bretagna.
Ora non lesina critiche alla gestione dell’emergenza, vista unicamente come securitaria ed epidemiologica. E puntualizza: non siamo in presenza di una pandemia, ma di una sindemia.
« Abbiamo ridotto questa crisi a una mera malattia infettiva. Tutti i nostri interventi si sono concentrati sul taglio delle linee di trasmissione virale. La “scienza” che ha guidato i governi è composta soprattutto da epidemiologi e specialisti di malattie infettive, che comprensibilmente inquadrano l’attuale emergenza sanitaria in termini di peste secolare. Ma ciò che abbiamo imparato finora ci dice che la storia non è così semplice. Covid-19 non è una pandemia. È una sindemia».
Non chiamiamola pandemia, ma sindemia
I governi sarebbero colpevoli di aver trascurato la vera natura di Covid-19, soprattutto ora, a nove mesi dallo scoppio dell’emergenza.
Cos’è una sindemia?
A differenza della pandemia, che indica il diffondersi di un agente infettivo in grado di colpire più o meno indistintamente il corpo umano con la stessa rapidità e gravità ovunque, la sindemia implica una relazione tra più malattie e condizioni ambientali o socio-economiche. L’interagire tra queste patologie e situazioni rafforza e aggrava ciascuna di esse. Questo nuovo approccio alla salute pubblica è stato elaborato da Merril Singer nel 1990 e fatto proprio da molti scienziati negli ultimi anni. Consente di studiare al meglio l’evoluzione e il diffondersi di malattie lungo un contesto sociale, politico e storico, in modo di evitare l’analisi di una malattia senza considerare il contesto in cui si diffonde.
Per intenderci, chi vive in una zona a basso reddito o altamente inquinata, corre un maggior rischio di contrarre tumori, diabete, obesità o un’altra malattia cronica. Allo stesso tempo, la maggiore probabilità di contrarre infermità fa salire anche le possibilità di non raggiungere redditi o condizioni di lavoro che garantiscano uno stile di vita adeguato, e così via, in un circolo vizioso.
La sindemia è quel fenomeno, osservato a livello globale, per cui le fasce svantaggiate della popolazione risultano sempre più esposte alle malattie croniche e allo stesso tempo sempre più povere.
«Ci sono due categorie di malattie in circolazione al momento: insieme al Covid-19, abbiamo una serie di patologie croniche non trasmissibili (MNT). Entrambe colpiscono determinati gruppi e settori della società».
Le malattie non trasmissibili e status sociale, i protagonisti dell’epidemia
Horton si riferisce a obesità, diabete, malattie cardio-vascolari e respiratorie. E al cancro. Il numero delle persone affette da queste patologie è in crescita in tutto il mondo. I deceduti positivi al coronavirus (più precisamente al “Sars-CoV-2″) presentano caratteristiche e condizioni di salute particolari, che sempre più spesso sono correlate a determinate aree geografiche o classi sociali svantaggiate. «Parlare solo di comorbilità è superficiale», ammonisce lo scienziato.
Se i programmi per contrastare il coronavirus non terranno in conto fenomeni come la crescita dell’inquinamento, degli effetti della povertà sulla salute psico-fisicae della mancanza di investimenti in sanità pubblica – conclude l’editoriale – questi programmi saranno fallimentari, perché non garantiranno mai la salute di tutti. E nemmeno la ricchezza, se consideriamo che l’obesità da sola provoca perdite triliardarie al prodotto interno lordo mondiale. Alcuni Stati, per esempio, nonostante le pressioni delle lobby alimentari, sono riusciti a mettere a punto alcune leggi contro il “cibo spazzatura”, allontanato quantomeno dalle mense scolastiche e dagli istituti. In Messico la popolazione ha volontariamente ridotto il proprio consumo di zucchero dopo solo due anni dalla riforma.
Pochi investimenti in ambito sanitario, mirati ed efficaci, destinati al miliardo di abitanti più povero del pianeta, potrebbero evitare la morte prematura di 5 milioni di persone, cioè cinque volte tanto i deceduti positivi al coronavirus. E la cifra potrebbe crescere, se si considerano anche gli eventuali contagiati da Covid-19, esposti automaticamente a un rischio di morte maggiore in presenza di malattie croniche non trasmissibili.
Il virus non è uguale per tutti, certifica Istat
È ormai evidente a tutti che il coronavirus non è una livella. Salvo casi rari (nell’ordine di uno su mille-diecimila, a seconda dell’età, come si può rilevare ponderando con i contagi stimati il tasso di mortalità grezzo, basato invece solo sul rapporto morti/casi confermati) risparmia la vita dei giovani, di chi è in buona salute e di chi ha la possibilità di ricevere cure tempestive ed efficaci.
(Grafico – Il tasso di mortalità va ricalcolato alla luce dei dati sui reali contagi. Nelle zone più colpite, dove si trova il 70% dei morti, si stimano oltre il decuplo di ‘positivi occulti/sommersi’, mai comparsi nei bollettini. Le stesse zone presentano tassi d’inquinamento tra i più alti d’Europa)
Il particolare svantaggio dei ceti meno abbienti e istruiti è stato certificato dalle analisi sui morti condotte negli Stati Uniti e in America Latina, dove decessi e contagi risultano prevalenti tra comunità afroamericane e minoranze. E anche dai dati dell’Istituto nazionale di statistica italiano: a partire dai mesi primaverili del 2020 è stato registrato un aumento dell’incidenza della mortalità tra le persone meno istruite rispetto a quelle più istruite. Nelle donne, il divario porta alla situazione per cui ogni 4 decedute meno istruite ne muoiono 3 con un grado di istruzione superiore, riporta l’Istat.
Le misure restrittive decise dai governi inoltre possono creare un vero e proprio circolo vizioso che riduce i redditi già bassi, diminuendo contemporaneamente condizioni di lavoro e aspettative di vita dei più deboli. Lo schema qui sotto, elaborato dall’epidemiologo Giuseppe Costa e dal ricercatore dell’Università di Torino Michele Marra, mette in luce alcuni esempi di queste dinamiche.
Le cause non riconosciute
L’exploit di malattie cardio-circolatorie e respiratorie è ben noto ma non sottolineato dai decisori pubblici, né interpretato come un problema prioritario-urgente nelle politiche di prevenzione sanitaria. In Europa un deceduto ogni sette, in termini assoluti, è legato all’inquinamento dell’aria, in particolare a quello causato dalle polveri sottili e al diossido di azoto. Le soglie limite fissate dall’Organizzazione mondiale della sanità secondo molti scienziati sarebbero inadeguate e non garantirebbero la salute della popolazione esposta all’inquinamento. E l’Unione europea consente tassi d’inquinamento più che doppi rispetto a quelli consigliati dall’Oms. Tutto ciò dopo che dal 2009 al 2016 diverse case automobilistiche hanno prodotto e messo in circolazione veicoli che emettevano fino a 40 volte i contaminanti consentiti dalla legge. Era il dieselgate.
Dalla scoperta delle emissioni delle auto ‘taroccate’, la legislazione ha spesso tollerato le discrepanze tra i gas emessi realmente in strada e quelli dichiarati dopo i test ‘farlocchi’ condotti nelle officine. Dal 2015 non è stato varato un nuovo test valido e sempre efficace, ma il nuovo protocollo presentava numerose eccezioni. Lo stop alle vendite dei modelli di auto con emissioni falsificate è arrivato solo a fine 2018. Nel frattempo sono state emanate clausole di tolleranza – ancora in vigore – per consentire differenze fino a oltre il doppio tra le reali emissioni dei veicoli e quelle dichiarate permesse dalla legge, anche dopo il dieselgate. Insomma, eradicare le polveri sottili e il diossido di azoto – e i decessi che causano – non sembra un’urgenza.
Diversi studi, inoltre, evidenziano anche i gravi effetti dell’inquinamento acustico, che nei grandi centri abitati è responsabile di morti premature per malattie cardio-circolatorie.
Poi c’è il diabete: un terzo dei morti positivi al coronavirus in tutto il mondo conviveva con questa malattia. Il numero di malati è in crescita esponenziale in Italia, nei Paesi europei, ovunque: colpisce circa tre volte di più le fasce della popolazione a basso reddito e preoccupa la sua diffusione tra i giovanissimi. Circa il 10% della popolazione ha il diabete, che uccide 20mila persone all’anno soltanto in Italia. Anche l’obesità cresce di pari passo.
Per quanto riguarda i tumori, alla situazione preesistente in cui i più poveri sopravvivono decisamente meno dei più ricchi, si aggiunge l’enorme mole di esami e screening sospesi e rinviati per colpa dei “lockdown”. I dati parlano di oltre 5 milioni di esami non eseguiti, con possibili conseguenze drammatiche su futuri aumenti di mortalità.
Cambiare prospettiva
I governi dovrebbero quindi realizzare che siamo di fronte a un fenomeno epocale, e questo fenomeno epocale non è il virus, o meglio, non da solo. Il coronavirus ha dato il “colpo di grazia” a un trend già segnato. Nel 2019, la stessa The Lancet, avvertiva: obesità, inquinamento e cambiamento climatico stanno cominciando a interagire tra loro e questa interazione costituisce una nuova minaccia per la salute globale. «Il cambiamento climatico e gli eventi meteorologici estremi provocheranno ulteriore malnutrizione e insicurezza alimentare. Il fenomeno potrà influire sui prezzi, soprattutto di frutta e verdura. Aumenterebbe così il consumo di alimenti industriali», certamente poco salutari e quindi pericolosi per la salute pubblica.
Mortalità in crescita anche in era pre-Covid
Per quanto riguarda l’Italia, nel 2015 e nel 2017 si sono registrati dei veri e propri boom di mortalità, che scienziati e statistici non sono riusciti a spiegare del tutto. Complici sono stati l’influenza, l’ondata di calore del luglio 2015 e l’invecchiamento della popolazione, ma la cifra totale non si spiega soltanto con queste cause. Diverse le ipotesi: dai tagli alla spesa pubblica all’inquinamento, fino alle crescenti disuguaglianze. La Spagna, uno dei Paesi più colpiti dal virus, dal 2012 ha sofferto un epocale aumento di mortalità, oggetto di studio di una Commissione nazionale nominata ad hoc e di un lungo dibattito sulle reali cause di questo boom.
Le conclusioni del direttore di The Lancet, Richard Horton, sono perentorie:
«La conseguenza più importante di inquadrare Covid-19 come una sindemia è sottolineare le sue origini sociali».
«A meno che i governi non riconoscano questi problemi ed elaborino politiche e programmi per invertire le profonde disparità, le nostre società non saranno mai veramente al sicuro da Covid-19» .
«La vulnerabilità dei cittadini più anziani, delle comunità nere, asiatiche e delle minoranze etniche, e dei lavoratori di servizi essenziali mal pagati e senza protezioni sociali, mostra una verità finora appena riconosciuta: non importa quanto efficace sia la protezione fornita da un vaccino o da un farmaco. Una soluzione puramente biomedica al Covid-19 fallirà».
– QUI il link all’editoriale completo.
– il report sulla sindemia globale del 2019.
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